L'obbligo di mantenimento in favore dei figli trova il proprio fondamento nella Costituzione e nel Codice Civile. Secondo l'articolo 30 della Costituzione “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”, mentre secondo l'articolo 315 bis comma 1 del Codice Civile “il figlio ha diritto di essere mantenuto educato istruito e assistito moralmente dai genitori”.
Pertanto è un dovere dei genitori mantenere i figli. Tale obbligo sussiste a prescindere dal rapporto intercorrente tra la coppia, quindi sia in caso di figli nati da matrimonio che da convivenza, e permane sia in caso di separazione divorzio che in caso di cessazione della convivenza. Neppure la decadenza della potestà genitoriale, cosiddetta “responsabilità genitoriale”, può far venir meno l'obbligo.
La legge dispone che sia il giudice a stabilire la misura e il modo con cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento dei propri figli minori d'età, ma quando il figlio diviene maggiorenne l'assegno in suo favore deve essere oggetto di richiesta. La richiesta potrà essere avanzata dal genitore convivente con il figlio che non sia economicamente indipendente oppure dal figlio che non convive con nessuno dei due genitori e che non sia economicamente indipendente. In quest'ultimo caso l'assegno andrà corrisposto direttamente al figlio.
L'obbligo dei genitori di mantenere i figli non cessa con il raggiungimento della maggiore età, ma permane fino a che i figli abbiano raggiunto la propria indipendenza economica. In tale ultimo caso, è determinante che il figlio non abbia raggiunto l'autosufficienza reddituale senza sua colpa.
Infatti, una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione, prima sezione, Sentenza del 23 agosto 2021, n. 23318, ha rammentato un principio ormai consolidato in giurisprudenza. In un procedimento per la cessazione degli effetti civili del matrimonio il Tribunale adito disponeva l'obbligo a carico del padre di corrispondere alla figlia un assegno mensile di 600 euro, oltre alle spese straordinarie. A tale pronuncia il padre si opponeva, ma, in secondo grado, la Corte d'Appello precisava “che l'obbligo di mantenimento in favore dei figli non viene meno con la maggiore età, ma solo con il raggiungimento della indipendenza economica”. In tale fattispecie la Corte rilevava che la giovane, dopo una breve esperienza lavorativa insoddisfacente, aveva deciso di iscriversi all'Università e poiché la giovane età della ragazza faceva ritenere che potesse concludere proficuamente gli studi e conseguire la laurea e che le condizioni economiche dei genitori permettevano loro di aiutare e sostenere la figlia nel suo percorso, confermava l’assegno di mantenimento in suo favore.
Il padre però, contestando la decisione di porre a suo carico l'obbligo di corrispondere alla figlia un assegno mensile di 600 euro visto che la stessa lavorava in un albergo percependo un mensile di 1200 euro e disponeva di un alloggio, ricorreva in Cassazione. Il padre riteneva che se la figlia avesse optato per un impegno ad orario ridotto di tale occupazione avrebbe sicuramente potuto mantenersi agli studi; invece, la stessa aveva preferito iscriversi all'Università, così dovendo necessariamente abbandonare l'attività lavorativa.
La Cassazione ha definito infondato il motivo del ricorso, così richiamando il principio consolidato della giurisprudenza sull'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni, secondo cui: "il predetto obbligo non cessa immediatamente ed automaticamente per effetto del raggiungimento della maggiore età da parte del figlio, ma perdura finché non venga fornita la prova che quest'ultimo ha raggiunto l'indipendenza economica, ovvero è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta."
Nel caso di specie la Corte di Appello aveva seguito il predetto orientamento che impone di tenere conto, in queste situazioni, di diversi fattori, come l'età, le aspirazioni e il conseguimento effettivo di una certa competenza da parte del figlio, l'impegno profuso nella ricerca di un'occupazione e la condotta complessiva dello stesso fino al raggiungimento della maggiore età. Nell'esaminare la condotta della figlia la Corte aveva tenuto conto del fatto che la ragazza, all'epoca della decisione di riprendere l'Università, era in effetti ancora giovane (all'epoca ventiseienne), che aveva trovato un'occupazione, estranea alle sue aspirazioni professionali e aveva messo in evidenza che a questa età è ancora in essere il percorso formativo di una persona.
E’ infatti vero che è compito dei genitori di assecondare, per quanto possibile, le inclinazioni naturali e le aspirazioni del figlio, consentendogli di orientare la sua istruzione in conformità dei suoi interessi e di cercare un'occupazione appropriata al suo livello sociale e culturale, anche mediante la somministrazione dei mezzi economici a tal fine necessari, senza forzarlo ad accettare soluzioni indesiderate.